Questi post sono una raccolta di appunti e riassunti dal libro “How Brands Grow: What marketers don’t know” del professor Byron Sharp. Questo lavoro è una lettura indispensabile per ogni marketer. Il mio obiettivo personale quando ho iniziato questa serie di post era ottenere una comprensione più profonda del libro e delle sue lezioni, e mentre li ho esaminati, non solo ho raggiunto quella comprensione, ma anche un’idea delle aree che devo approfondire maggiormente in futuro. Sharp è sempre molto illuminante, ma sento il bisogno di prospettive ulteriori su molti dei temi che tratta. Puoi acquistare “How Brands Grow” qui.
Il settimo capitolo di How Brands Grow è uno dei più interessanti.
È incentrato sulla fedeltà o loyalty e, nello specifico, su come la percezione dei clienti e dei marketer possa essere frutto di alcuni bias cognitivi.
Per coloro che desiderano una definizione semplice di fedeltà del cliente, possiamo definirla come il comportamento del cliente di scegliere lo stesso marchio, dimostrando fedeltà ed evitando di acquistare altri marchi della stessa categoria di prodotti.
È una definizione generica e, naturalmente, ogni guru del marketing ha la propria definizione personale; ma questo non è un post sull’ontologia del marketing, e, inoltre, non sono Heidegger, quindi la definizione precedente sarà sufficiente.
Nonostante in questo capitolo Byron Sharp vada subito al punto, come sempre rimango scettico e con la voglia di ottenere una prospettiva differente. Per questa ragione, ho già acquistato altri due libri per confrontare due punti di vista diversi sullo stesso argomento.
Se sei curioso riguardo ai libri, sono “Winning on Purpose” e “The Ultimate Question 2.0: How Net Promoter Companies Thrive in a Customer-Driven World“, entrambi scritti da Fred Reichheld, un Bain Fellow.
L’Esperimento Pepsi VS Coca-Cola
Tornando al libro, il primo paragrafo è davvero mind blowing.
Fondamentalmente, descrive un esperimento condotto nel 2004 da McClure, Professore Assistente di Psicologia all’Università di Stanford.
Prese 67 volontari e monitorò l’attività cerebrale mentre serviva bevande gassate.
Durante l’esperimento, i ricercatori annunciavano ai volontari quando stavano bevendo Coca-Cola, Pepsi o una bevanda senza etichetta.
Ciò che emerse dalla risonanza magnetica cerebrale fu che quando veniva fornita della Coca-Cola, l’attività cerebrale dell’ippocampo aumentava. Lo stesso non accadeva con la Pepsi.
L’ippocampo è una zona fondamentale del cervello legata sia alla memoria a breve termine che a quella a lungo termine.
Prima di passare alle conclusioni, c’era un altro elemento chiave nella ricerca.
Durante l’esperimento, 16 dei 67 volontari, effettuarono dei test di degustazione alla cieca. Di questi un 50% circa scelse la Pepsi e l’altro 50% la Coca-Cola. Ciò che emerse fu una scarsa correlazione tra la preferenza che avevano dichiarato prima del test e la scelta effettiva durante la prova.
Durante l’esperimento, ai partecipanti, venne somministrata la stessa bevanda, ma in due modi diversi. In un caso la bevanda era etichettata come Coca-Cola o Pepsi, mentre nell’altro era senza etichetta.
Quando chiesero quale fosse la migliore, scelsero in gran parte la bevanda che era stata etichettata come Coca-Cola, anche se erano tutte la stessa bevanda!
Per la Pepsi ciò non accadde in modo significativo.
Qual è il punto chiave di questo esperimento?
Primo, le persone tendono di solito a fidarsi di più dei loro occhi che del loro gusto.
Secondo, probabilmente l’attività cerebrale più elevata è legata al concetto psicologico di “la familiarità genera simpatia”. E questo vale anche per le abitudini e la frequenza, che generano familiarità, conoscenza del marchio e di conseguenza simpatia.
Questo concetto era stato espresso anche da Robert Cialdini nel suo libro “Le Armi della Persuasione” quando discute del principio della Simpatia e di come questo principio sia influenzato dalla familiarità. Ciò che ci appare familiare genera in noi una risposta con maggiore positività.
Un altro aspetto chiave è il potere delle abitudini, che può essere correlato alla fedeltà d’acquisto.
Le persone, e mio padre probabilmente è l’esempio migliore, per ridurre sprechi di tempo e rischi, useranno sempre gli stessi prodotti o visiteranno gli stessi ristoranti.
Stesso shampoo, stesso deodorante, ecc., non perché siano migliori o più economici, ma solo per abitudine.
È questa la fidelizzazione del cliente? Sì, ma non è legata al valore del marchio, bensì più alla routine del consumatore.
I Canali Televisivi
Vediamo questo incredibile esempio.
Oggi, se hai una TV, puoi scegliere tra un’enorme quantità di canali ed il costo del passaggio da un canale all’altro è praticamente zero. Devi solo premere un pulsante.
Sorprendentemente, le persone mostrano lo stesso comportamento, limitano il loro repertorio di programmi preferiti ai soliti pochi canali, indipendentemente dal numero di scelte disponibili.
L’immagine qui sotto è un grafico della ricerca dell’Istituto Ehrenberg-Bass, realizzato da Virginia Beal. I dati sono forniti da Nielsen sui nuclei familiari statunitensi nel 2002 (lo so, è piuttosto datato).
Il grafico mette in relazione il numero di canali ai quali una famiglia ha accesso con il numero di canali di cui effettivamente decide di usufruire.
È impressionante come il grafico sembri “logaritmico”, raggiungendo rapidamente un plateau.
Il comportamento tra i consumatori che hanno accesso a 40 canali e quelli che hanno accesso a 80 canali è molto simile.
È stupefacente come le persone, anche con 200 opzioni e zero costi di cambio, vedano sempre gli stessi canali.
In questo caso, la fedeltà è solo una conseguenza delle abitudini.
I due esempi precedenti sono molto importanti e da questi risultati l’autore richiama la legge della Double Jeopardy applicata alla fidelizzazione:
“I marchi con una minore quota di mercato hanno molti meno acquirenti, e questi acquirenti sono leggermente meno fidelizzati.”
Cosa significa in termini pratici?
Gli acquirenti non sono mai fedeli al 100%.
In particolare, i marchi più piccoli hanno una percentuale minore della loro base di clienti che sono fedeli al 100%, questo perché i marchi più grandi tendono ad avere proporzionalmente più acquirenti occasionali nella loro base utenti.
Il rapporto tra acquirenti occasionali e fedeltà è facilmente spiegato: gli acquirenti occasionali tendono a preferire i marchi più grandi, ciò è anche chiamato “la legge del monopolio naturale”.
Pensa a questi prodotti basati sui dati TNS sul mercato inglese:
Prodotto | Tasso di Acquisto Annuale nella Categoria | Dimensione del Marchio – Quota di Mercato (%) | Acquirenti fedeli al 100% tra gli acquirenti del marchio |
Analgesici | 5.1 | ||
Tesco | 22 | 37 | |
Nurofen | 8 | 28 | |
Boots | 3 | 26 | |
Panadol | 2 | 29 | |
Patatine | 17.5 | ||
Walkers | 68 | 37 | |
KP | 7 | 6 | |
Kettle Foods | 1 | 10 |
Più alta è la quota di mercato, maggiore è la proporzione di clienti fedeli al 100%, ma resta una minoranza rispetto all’intera base di clienti del marchio.
Le opinioni dei clienti possono cambiare
Il libro continua con un altro concetto veramente affascinante, probabilmente uno dei più interessanti in questo capitolo: come le opinioni dei clienti possono cambiare a seconda del momento.
Fondamentalmente, gli autori hanno valutato per diverse categorie di prodotti se le persone concordassero nel tempo con una dichiarazione intervistandole in periodi diversi.
Categoria | Percezione dell’immagine del brand | Accordo iniziale (%) | Accordo ripetuto (%) |
Locali Fast Food | Buoni per uno spuntino | 29 | 56 |
Banche | Innovative | 22 | 47 |
Banche | Esperti nelle aree in cui lavorano | 21 | 48 |
Assicurazioni | Fornisce un servizio veloce | 17 | 42 |
Supermercati | Vende frutta di bassa qualità | 14 | 36 |
Liquori | Unici | 10 | 36 |
Secondo la ricerca dell’autore, questa instabilità non è dovuta ad un cambiamento radicale dell’opinione degli intervistati sul brand, ma è solo perché a volte gli piace ed a volte no.
“I Ricordi legati al brand, così come i brand che abbiamo acquistato, sono probabilistici.”
Il capitolo affronta anche un altro aspetto interessante della fidelizzazione: i fanatici del brand.
I fanatici del brand sono probabilmente sopravvalutati.
Infatti, se pensiamo a uno dei marchi più iconici come Apple, basandoci sui dati forniti dal professor Sharp, possiamo vedere che i proprietari dei computer Apple mostrino una fedelizzazione moderatamente maggiore rispetto ad altri marchi.
Brand | Riacquistare lo stesso brand(%) |
Dell | 71 |
Apple | 55 |
HP/Compaq | 52 |
Gateway | 52 |
Fonte: MetaFacts Inc., 2002-03 https://metafacts.com/technology-user-profile/
In conclusione
Quello che ho tratto da questo capitolo è che la fidelizzazione è un aspetto molto intricato del marketing.
Alcuni clienti sono fedeli per abitudine, alcuni per opportunità e altri per l’amore verso il prodotto.
La fedeltà al 100% è rara; la maggior parte delle vendite di un brand proviene da acquirenti occasionali (almeno nei beni di largo consumo).
Quindi ogni strategia di marketing – e questo è il filo conduttore del libro – dovrebbe essere supportata da dati provenienti da esperimenti progettati correttamente (e, cosa cruciale, valutati scrupolosamente), e questi principi valgono anche per tattiche come i programmi di fidelizzazione.
Bibliografia e Risorse Aggiuntive
Neural Correlates of Behavioral Preference for Culturally Familiar Drinks: Neuron (cell.com)